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Revue d'Histoire Celtique

 Sommario del numero 12

Editoriale

I Liguri
di Renato Del Ponte

Avalon, Cornovaglia e dintorni
di Ferruccio Capra Quarelli

La Necropoli Insubre di Somma Lombarda
di Adriano Gaspani

Agenda: Manifestazioni Celtiche
di Marco Violet

Simbologia Celtica
Il Cervo

Recensioni:
I Celti nella regione dei Laghi
di Roberto Corbella

Le Piante dei Celti: La Celidonia
di Giorgio M. Miramonti

 

 

 

Editoriale

La Revue d'Histoire Celtique in quanto bollettino della Société, riteniamo non debba trattare solo delle ricerche e degli studi dei Soci, ma anche suggerire itinerari, mostre, appuntamenti culturali affini ai nostri interessi istituzionali.

Sebbene quest'anno tutta una serie di problemi, prima fra tutte l'assenza di disponibilità della amministrazione comunale della città, ci ha impedito di realizzare l'edizione 2000 del Festival Celtique di Aosta quando il programma era ormai già completamente definito ed erano perfino già usciti degli articoli in Spagna ed Inghilterra, la Société d'Histoire Celtique è riuscita a salvare almeno la parte istituzionale delle conferenze di storia e archeologia, di cui a pagina 14 troverete il programma.

A pagina 10 viene presentato invece il programma completo del più importante momento di incontro ludico della cultura celtica d'Europa: il Festival di Lorient.

Infine tra le proposte estive di un turismo culturale, oltre al consueto calendario dell'Agenda Celtica, presentiamo l'articolo di Ferruccio Capra Quarelli che vi propone un viaggio ai confini tra storia e leggenda in "Avalon, Cornovaglia e dintorni".

Negli ultimi anni si è finalmente allargato l'interesse per l'annoso problema dei primi abitanti della nostra penisola, culture e civiltà per troppo tempo dimenticate e quasi negate dall'abbagliante luce dell'ascesa di Roma, la cui grandezza ha monopolizzato per tanto tempo in modo quasi fideistico il ristretto chiostro della paludata cultura di stato. Dopo oltre quaranta anni dall'uscita dell'ultima monografia esaustiva sui "Liguri" ecco giungere il nuovo lavoro del Professor Del Ponte, presentato in una sua seguitissima relazione nel corso della scorsa edizione del Festival Celtique di Aosta, e di cui Vi presentiamo qui il testo.

Buona Estate

S.C.

Simbologia Celtica

Il CERVO

L'importanza del simbolo del Cervo risale sicuramente molto addietro nel tempo sino al tempo del Mesolitico, dove nelle sepolture, corna di cervo venivano poste sul capo del defunto. Per autori come il Weisweiler si può ritenere che in epoca remota nel centro Europa si siano sovrapposti due diversi flussi culturali, quello del toro mediterraneo e quello del cervo artico. Questo spiegherebbe le parziali sovrapposizioni simboliche dei due animali ancora così ben attestate in epoca celtica e romana.

Dai ritrovamenti delle Grotte dei "tre Fratelli" (risalenti a Cromagnon, circa 30.000 anni avanti Cristo) alle incisioni della Val Camonica (che rappresentano già un Dio dalle corna di cervo ornato di un collare o torc celtico risalenti al V/IV secolo a.C.), le rappresentazioni di un Dio cornuto indicano un filo conduttore comune, mai interrottosi attraverso i millenni, risalente a tradizioni antecedenti alla comparsa degli indoeuropei, che ne assorbirono probabilmente culto e simboli dagli indigeni assoggettati.

Nella cultura dei cacciatori Paleolitici del grande nord il Cervo fu venerato come il principale obbiettivo della caccia, caricandosi poi di connotati ctonii e religiosi durante l'epoca agricola del Neolitico.

In epoca celtica esistono molte rappresentazioni di un Dio cornuto: dalle stele antropomorfe rappresentanti un guerriero accosciato rinvenute nel sud della Francia, al calderone di Gundestrup, fino ai più tardi bassorilievi funerari di epoca galloromana con l'iscrizione "Cernunnos". Unite ai testi epici e leggendari tramandati sino a noi, tutte queste testimonianze ci delineano la figura di un Dio celtico misterioso ed estraneo a tutte le classificazioni tradizionali, che pone numerosi problemi di interpretazione.


 

I LIGURI
di Renato Del Ponte

 

 

 

 

Abstract:

Ligures, the earliest inhabitants of Italy
(Notes from the conference at the "Festival Celtique '99" Aosta 20 August 1999)
by Renato Del Ponte

The Ligures people have a very long story. It's amazing how we are able to study their life since the last big "Wurm" glaciation period even if they are still not very popular in the common local culture. To study the Ligures story we have to consider the long period of the italian peninsule history dating back to more than 25.000 years ago to the roman time. As told by the Greeks, they had settlements from the Rhone outlets to Genua, from the Mediterranean costs to the Maritime Alps and had to fight against Celts and Romans.

 

Les Ligures, la population la plus ancienne d'Italie
(Notes de la conférence qui a eu lieu à Aoste le 20.08.1999 au cours du "Festival Celtique '99"de Renato Del Ponte

C'est une histoire très longue celle des Ligures est c'est tout à fait singulier le fait qu'on puisse l'étudier dès son origine et donc en examinant l'histoire de l'Italie du Nord à l'époque de la dernière et grande glaciation de "Wurm", il y a plus de 25.000 ans.
Il s'agit d'une population pas encore très étudiée mais , selon ce que les Grecs disaient d'eux, avec des établissements qui s'étendaient des embouchures du Rhone jusqu'à Genova , des cotes de la Méditerranée aux Alpes Maritimes et qui durent se battre contre les Celtes et les Romains.

 


Conferenza tenuta ad Aosta nel corso del terzo Festival Celtique)

 

È uno scherzoso paradosso affermare che, allorché si costituiva il primo germe delle futura etnia dei Liguri , essi naturalmente non sapevano di chiamarsi cosi'. Ma, del resto, neanche dopo lo avrebbero saputo, perché questo nome venne loro attribuito dai Greci prima (*Liguses) e poi dai Romani (Ligures), formandolo probabilmente da una base linguistica preindoeuropea *"liga", "luogo paludoso", "acquitrino", ancora viva nel francese "lie" e nel provenzale "lia": e questo perché il primo incontro fra i mercanti greci e gli indigeni sarebbe avvenuto proprio sulle coste paludose delle foci del Rodano.

La storia dei Liguri parte da molto lontano. E' singolare, infatti, la constatazione che i Liguri, una popolazione fino ad oggi assai poco studiata e quindi conosciuta a livello generale, in realtà sono, tra i popoli d'Italia, quelli che siamo in grado di seguire dai tempi più remoti. Abbiamo questa possibilità soltanto per loro, se consideriamo la situazione dell'Italia Settentrionale al tempo dell'ultima grande glaciazione, quella di Wurm, allorché dovunque dominavano ghiacci o inospitali distese gelate. Dappertutto, tranne che lungo l'arco dell'attuale costa ligure, quasi un istmo fra penisola italica ed area franco-cantabrica, in cui il clima era quasi primaverile: in ogni caso sopportabile per flora, fauna ed esseri umani. E la nostra storia comincia proprio circa 25.000 anni fa, sul finire del Paleolitico Superiore, con quegli esseri umani che presero a frequentare le caverne dei Balzi Rossi, oggi a pochi metri dal confine francese, sulla costa, proprio sotto il villaggio di Grimaldi, che si trova a monte. In realtà queste grotte erano state frequentate già da migliaia di anni. Prima dell'epoca di cui parliamo le abitò l'uomo di Neanderthal, il quale scomparve o (più probabilmente) fu eliminato dall'uomo di Cro-Magnon ( così detto da una località della Francia atlantica), a cui si deve la mirabile fioritura artistica delle grotte della civiltà franco-cantabrica . Nel momento di cui parliamo, esisteva un contatto diretto fra le coste atlantiche e la Liguria attuale.

In effetti, l'uomo dei Balzi Rossi costituiva la propaggine più orientale dell'uomo di Cro-Magnon. Se, come si è detto, prima che la fine dell'ultima epoca glaciale interrompesse i contatti, i ghiacci arrivavano a lambire la Liguria sin sul crinale a poca distanza dalla costa, lì invece era quasi primavera. Per effetto della glaciazione il mare si era ritirato e le grotte non si trovavano, come oggi, a 20 metri dal mare, ma a 10 chilometri, era dunque permesso l'insediamento umano ed animale. O, per meglio dire, l'insediamento umano esisteva proprio a causa del continuo passaggio di selvaggina di grossa taglia: bisonte, bue muschiato, stambecco, cavallo selvaggio. L'uomo viveva di caccia e, in minima parte, di raccolta. Non conosceva neppure la pesca, se non quella di fiume e torrente, al massimo raccoglieva qualche mollusco lungo gli scogli della costa. La prima cosa notevole da segnalare è la particolare struttura scheletrica e la notevole massa muscolare dei frequentatori dei Balzi Rossi: l'esemplare maschio adulto poteva raggiungere e superare l'altezza dei due metri e non essere mai inferiore ai 180 cm. E soprattutto tombe maschili sono venute alla luce nelle sepolture scavate a partire dagli anni '70 del secolo scorso sino ai primi del '900: ne emerge una civiltà prettamente patriarcale con la donna in posizione subordinata (proprio come avviene in tutte le comunità di cacciatori). Sembra poi di capire che quegli uomini di cui è stata trovata la tomba avessero una posizione privilegiata all'interno della comunità: lo si deduce dal colore rosso dell'ocra che ricopriva sia i corpi che le tombe, da ricondursi al concetto del rosso come celebrazione della sovranità, presente tra l'altro anche in diverse manifestazioni di Roma antica (2). Si trattava evidentemente di capi. Vennero anche rinvenuti oggetti che in apparenza potrebbero suggerire una civiltà matriarcale: statuette di donne con caratteristiche sessuali esagerate, le cosiddette Veneri paleolitiche ritrovate anche in molte altre parti d'Europa, sempre associate ai resti del Cro-Magnon. Ma esse non devono far pensare ad una civiltà matriarcale, sono solo un tributo che questa umanità offriva al sacrum, al mistero della sessualità e della fecondità. Siamo di fronte, in ogni caso, ad una società spiritualmente molto sviluppata: sia nelle grotte atlantiche che ai Balzi Rossi sono stati trovati elementi (ad esempio, tacche incise su strumenti, ossa o pareti) che fanno pensare addirittura ad un sistema di calcolo del tempo, delle stagioni e delle costellazioni.

Il dominio dei cacciatori durò per migliaia di anni e l'ultima sua fase, che contrassegna le estreme manifestazioni della civiltà franco-cantabrica collegata all'uomo di Cro-Magnon, viene definita "Epigravettiano" (dalla località di La Gravette, in Dordogna): una fase culturale che in Liguria durò più a lungo, pervenendo, con diversi aspetti regionali, sino alle soglie del Neolitico. Circa 18.000 anni fa il distacco del- l'area ligure dalla vicina area francese viene ad approfondirsi. Finiti i rigori e la presenza del ghiaccio, la valle del Rodano viene allargata e quindi resa impraticabile. Dove erano i ghiacci si distende una serie interminabile di paludi e questo provoca una rottura irrimediabile fra la zona atlantica e quella italica. Nell'area atlantica i residui dei Cro - Magnon daranno origine alla civiltà maddaleniana e saranno alla base (secondo l'opinione di molti) del grandioso fenomeno del megalitismo. Alcuni andranno a nord e (si pensa) contribuiranno alla formazione della razza fallica o dalica. Molti si sposteranno a sud e attraverso la Spagna raggiungeranno l'Africa del Nord. Daranno vita alle etnie dei Guanci nelle Canarie, dei Cabili dell'Algeria e dei Berberi dell'Atlante e, più in generale, alla sottorazza detta degli Atlanto-mediterranei. Le popolazioni che rimarranno sul posto daranno origine all'attuale popolo dei Baschi. Esistono recenti ricerche (ad es., di L. e F. Cavalli Sforza) che, utilizzando le più aggiornate conoscenze della genetica, provano questa continuità.

Anche se non circola più da quelle parti l'uomo alto due metri e la cacciagione di grossa taglia, si può dire che i Baschi siano i moderni discendenti dell'Uomo di Cro-Magnon: lo prova, tra l'altro, l'alta frequenza del gruppo sanguigno 0 negativo e la spiccata dolicocefalia. Coloro che poi erano rimasti nell'area ligure lasciarono le loro tracce un po' dappertutto, fino alla Toscana settentrionale.

L'apporto etnico successivo sarà quello dei popoli mediterranei ovvero dei portatori della civiltà neolitica e quindi dell'agricoltura e della ceramica. Se pur non ne esistono le testimonianze archeologiche (come ricordava anche il grande storico delle religioni Mircea Eliade), vi è oggi tra gli studiosi la tendenza diffusa ad affermare che la civiltà neolitica si sia propagata lentamente dal Medio Oriente verso la Grecia e il corso del Danubio, quindi lungo le coste del Mediterraneo per mezzo di un piccolo cabotaggio. Per quanto riguarda la Liguria, l'unica area in cui ci sono prove archeologiche del manifestarsi della nuova cultura neolitica è quella di Finale Ligure, un'area abbastanza ampia nel- l'attuale provincia di Savona. Nelle grotte di Finale (in particolare nelle grotte della Pollera e delle Arene Candide) la civiltà agricola lascia le prime tracce del lavoro dei campi e della ceramica. Ma gli scheletri ritrovati hanno caratteristiche che ricordano le precedenti popolazioni dei cacciatori, il che significa che avvenne un matrimonio, un incontro tutto sommato pacifico fra la civiltà dei cacciatori e quella degli agricoltori (un fenomeno antropologico che si è riscontrato - e tuttora marginalmente si verifica in certe zone remote del- l'Africa centrale - in epoche ed aree diverse del nostro pianeta ).

Nello studio della conformazione dei crani si avverte una rottura, ma anche una continuità. La caratteristica dominante dei crani Liguri - dall'uomo dei Balzi Rossi (Cro-Magnon - alla conquista romana - è una dolicocefalia nettamente sviluppata. Il Neolitico non incide profondamente in quell'antica società, almeno fino a che non si sottentra nella successiva età dei metalli. Un'epoca che un tempo non lontano sembrava remotissima ed oggi invece ci appare più vicina. Più vicina, s'intende, se consideriamo le cose in una prospettiva più ampia, metastorica: ma in realtà, più lontana in termini di cronologia assoluta. Pensiamo un po' al cosiddetto "uomo (o mummia) del Similaun", ritrovato pochi anni fa in Alto Adige: un cacciatore, forse uno sciamano, riemerso fortunatamente dai ghiacciai al confine con l'Austria. Fra le altre cose, ha con sé un'ascia dalla lama metallica, di rame (un rame che egli stesso fuse per sé). Le analisi al carbonio 14 fanno risalire la mummia al 3500 a.C., cioè a 5500 anni fa. In precedenza si pensava che il rame in Italia fosse sconosciuto in quell'epoca, ma adesso bisogna retrodatare il suo uso di circa un migliaio di anni. Ed è singolare come quell'ascia rassomigli molto alle asce raffigurate in Liguria sulle statue-stele della Lunigiana o nelle prime incisioni rupestri di Monte Bego.

Si pensava in un primo tempo che la Liguria fosse una regione povera di minerali, poi si è scoperto che nel- l'entroterra fra Chiavari e Sestri Levante esisteva una miniera di rame, a Libiola, sfruttata sin da epoca remotissima: analisi al carbonio 14 hanno dimostrato che vi si estraeva il metallo già 4500 anni fa. E la futura città di Chiavari (ma come si sarà chiamata allora?) nascerà come primo centro abitato sulle coste della Liguria proprio grazie alla presenza di questa miniera, dal momento che il rame vi veniva esportato tramite un approdo marittimo. Il professor. Nino Lamboglia è stato l'autore di cinque campagne di scavo nella necropoli di Chiavari, che però risale all'età del Ferro, al VIII secolo a.C. Fra il 2500 e l' VIII secolo a.C. esiste naturalmente un lungo iato di tempo: come può essere colmato? Il prof. Lamboglia, durante gli scavi, studiandone la stratigrafia, aveva notato che la necropoli sorgeva su un luogo reso asciutto (così, almeno, egli pensava) mediante un'impermeabilizzazione artificiale ottenuta tramite uno strato di minuti cocci, che l'antica popolazione avrebbe appositamente steso a quello scopo. Tuttavia, Lamboglia non analizzò o, meglio, non ebbe il tempo per analizzare adeguatamente proprio questo strato, l'ultimo della serie, cosa che fu compiuta solo negli anni '80 di questo secolo. Ebbene, questo strato di cocci è composto da anfore di ceramica risalente al XIV-XIII secolo a.C. e si trattava, dunque, non di un fondo artificiale, ma di una base naturale di spiaggia, di riporto, lavorata dal mare, che attestava un traffico ed uno scambio di merci sulla costa già in quell'epoca lontana. Siamo agli albori dell'età del Bronzo e tale attività può essere agevolmente connessa con l'esportazione del minerale di rame e la miniera di Libiola. Poi, in seguito, nascerà il vero e proprio centro abitato e la necropoli ad incinerazione di Chiavari.

Analizzando il territorio ligure si capisce anche il carattere della popolazione. La gente ligure è stata sempre ritenuta chiusa, inospitale, difficile. I Romani la ritenevano "dura e agreste". Tuttavia questa regione ha subito anche infiltrazioni lente e pacifiche di altre genti . All'inizio dell'età del Bronzo, dalle Alpi settentrionali si riversarono popolazioni che possiamo riconnettere con il mondo dei "campi d'urne", vale a dire col crogiolo delle popolazioni indoeuropee che in parte popoleranno l'Italia. I Latini traggono origini da lì e così i Veneti e tante altre popolazioni italiche. In quest'epoca è ancora difficile distinguere i popoli italiani da quelli celtici. Oggi esiste una "moda celtica" o panceltica che, intendiamoci, ha più di una giustificazione rispetto alla misconoscenza del passato, ma, appunto, non bisogna esagerare. Popolazioni che possiamo definire "preceltiche" si infiltrano comunque già in età antichissima nel Piemonte e nella Liguria centro-orientale, mentre la Liguria occidentale manterrà caratteristiche più arcaiche, così come certe aree più vicine alla Toscana (Garfagnana, Lunigiana). Nelle zone interessate dall'ondata migratoria inizierà un processo di parziale indoeuropeizzazione in parte collegato a popolazioni che ho definito "preceltiche". Lo si può affermare anche sulla base di alcune iscrizioni ritrovate. La prima statua - stele rinvenuta in epoca moderna, nel 1837 a Zignago (SP), reca un'iscrizione in alfabeto etrusco, ma in lingua di dubbia attribuzione e tuttavia sicuramente indoeuropea: "Mezunemunis", ovvero "io (cioè la divinità raffigurata) che mi trovo in mezzo al bosco" (da notare l'affinità col latino). A Genova l'iscrizione (VI sec. a.C. ? ) "Mi Nemeties" ("di me, Nemetie") di nuovo collega sistema alfabetico e grammaticale etrusco con un personaggio dal nome certamente celtico (3). Eccoci dunque di fronte alla terza componente etnica della Liguria preromana .

 

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